Quando si ha a che fare con una bolla, micro o macro che sia, ci si ritrova con un campione di persone che non risponde alle solite dinamiche sociali che siamo abituati a conoscere.

Abbiamo visto benissimo le piccole bolle sociali e le loro inquietanti azioni all’opera nei paesi europei proprio in questi anni ma io ne sto vedendo una da decenni che però si applica a un intero paese.

Quando si ha a che fare con un’isola, una grande e importante isola che ha vissuto fino a ora in quasi isolamento rispetto alle popolazioni geograficamente vicine, si riconoscono le dinamiche della bolla.

L’isola in cui abito, il Madagascar, è una nazione che ha vissuto in quasi autarchia per quasi tutta la sua esistenza, evitando per mancanze tecnologiche e anche per stolta fierezza da isolani, il contatto con il resto del mondo, eccezion fatta per i pochi anni di dominazione coloniale.

L’estremo isolazionismo ha costruito nella popolazione delle dinamiche sociali credo uniche al mondo che ancora nonostante tutto si ripetono.
Alcuni aspetti tipici della cultura locale che hanno funzionato perfettamente in un paese immenso e quasi disabitato, quale era fino a pochi decenni fa, si stanno trasformando in contatto con la contemporaneità che nonostante tutto è arrivata grazie al commercio e ai mass media.

Ma il forte attaccamento alle tradizioni non ha permesso un vero sviluppo della società rurale verso una società più moderna e quello che ormai noto da anni è un vizioso livellamento verso il basso che tenta in tutte le maniere di tagliar le gambe a chi non vuole appiattirsi verso una vita senza successi.

E cosa succede in effetti: che alla fine sei obbligato ad adattarti a una situazione che trovi ridicola o sei obbligato a partire cercando altrove fortuna.

Chi resterà dovrà allinearsi alla cultura dominante, dovrà assoggettarsi alla famiglia e continuare a vivere dimenticandosi i sogni di ricchezza e successo per il semplice motivo che sono mal visti.

Gli altri otterranno il successo meritato.

E quando torneranno anche semplicemente per delle vacanze si sentiranno alieni appena sbarcati su un nuovo pianeta.

Chi ha avuto la fortuna e il coraggio di partire lo si riconosce subito, io lo riconosco a un kilometro di distanza; per modi, atteggiamenti, stile nel muoversi o solo stare a tavola.

Sto in questi giorni lavorando con tre fratelli ereditieri di una delle più grosse fortune della città: la differenza tra i due che dopo le scuole superiori sono partiti verso l’Australia e la Thailandia e quello che invece è restato in loco sono abissali; con i primi due sembra di parlare a intelligentissime persone occidentali col secondo al classico campagnolo arricchito che pensa solo a trombare e giocare la casinò.

E questa è la realtà che vedo ogni giorno qui intorno a me; chi vive nella bolla creata dall’isola è fiero della sua miseria, permaloso se lo si critica e impermeabile ad ogni consiglio che possa in qualche modo cambiare il suo status quo.

Vivono in un’idea di mondo piuttosto antica, legata alla sopravvivenza giorno per giorno. Era una strategia perfetta fino a 100 anni fa quando si era abituatati a vivere quasi nelle caverne, ma completamente inattuale adesso.

Forse non sta a noi cambiare la cultura di una popolazione che si rifiuta di progredire anche se vedendo cosa succede a quelli che partono sono convinto che alla popolazione locale il cambiamento piacerebbe sicuramente.

Sicuramente un più forte scambio culturale e commerciale potrebbe aprire gli occhi di una parte maggiore della popolazione, la quale potrebbe pensare di cominciare a far cambiare il paese; ma sono convinto che l’unica soluzione sarebbere prendere 10 mila maestre elementari e farle vivere e studiare sei mesi in europa: questa cosa cambierebbe tutto per milioni di persone.

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