Sembrano ormai lontani i tempi bui, quelle serate di inizio primavera in cui chiamavo costantemente i miei amici in val Brembana per sapere come stava finendo il mondo; un periodo che ricordo buio, ma non in senso metaforico; tutti i ricordi che ho di quelle settimane sono avvolti da un patina di oscurità: l’oscurità dei miei amici che andavano i propri parenti di notte per non farsi sorprendere fuori casa, l’oscurità che avvolgeva le immagini che venivano dalle terapie intensive, i camion di notte.

Tutto è stato notte per un bel periodo delle nostre vite.

Sembrava che il giorno fosse sparito e anch’io mi abituai a vivere di notte forse come difesa inconscia nei confronti dell’Altro, quello che avrebbe potuto con la sua sola presenza uccidermi.

Adesso diciamo che è diverso, molto diverso.

Non che il virus abbia smesso di circolare, anzi…

Siamo a numeri record di infezioni, forse spinti anche dalla diffusione dei test.

Quello che è veramente cambiato è la percezione che io e noto tanti intorno a me hanno di questo problema.

Tutti ci ricordiamo benissimo le emozioni che ci prendevano quando un nostro amico o conoscente ci diceva di essere malato durante il periodo buio: la paura.

La paura che morisse, che potesse infettare gli altri, che l’infezione potesse arrivare prima o poi fino a noi.

Molti, io stesso, crearono un muro verso l’esterno, un muro spesso fisico visto che mai come in questo periodo si comunicò in una maniera che l’umanità aveva appena cominciato a conoscere.

E adesso?

Adesso succede che se qualcuno ti dice di essere infetto gli dici solo di curarsi e riposare bene; e poi sposti l appuntamento di una settimana, a volte meno.

Quello che sta succedendo è che all’improvviso la malattia si è trasformata in un piccolo fastidio che genera al massimo un ritardo di qualche giorno; o peggio che ci posticipa la partita di calcio e di basket di una settimana.

E tutto ciò nonostante la narrazione continui a darci pezzi di prossime catastrofi.

Un po’ come successe con l’influenza spagnola, l’epidemia ebbe fine prima nella teste delle persone che negli ospedali.

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